domenica 1 agosto 2010

Diario di bordo in Perù - parte DUE


A Cuzco (antica capitale Inca e principale centro turistico del Perù) arriviamo all’alba. All’aeroporto ci viene a prendere il nostro nuovo “angelo custode”: Humberto, guida che collabora da anni con l’Operazione Mato Grosso. Andiamo subito a sistemarci presso la casa dell’OMG della città (con funzioni simili a quella di Huanuco), accolti dalla famiglia di Marco e Benedetta, aiutati dalla simpaticissima Marta, volontaria italiana che riesce a parlare spagnolo con un marcato accento vicentino. Dopo un breve momento di riposo, in tarda mattinata andiamo a visitare la città, prima liberamente e poi aggregandoci ad un pullman guidato da una strana guida di nome Julia. Visitiamo la bellissima Plaza de Armas di Cuzco, la meravigliosa cattedrale e le rovine inca nei pressi della città. E’ veramente interessante conoscere questa antica civiltà, che nel giro di pochissimi anni si trasformò da anonima tribù ad un impero tra i più estesi che la storia ricordi. Un impero breve di circa due secoli che terminò con l’invasione spagnola, di cui la nostra guida sembra letteralmente innamorata enfatizzandone le qualità positive e le grandi abilità come costruttori e agricoltori, nonostante non conoscessero l’uso della ruota e della scrittura come forma di comunicazione.

Il giorno successivo partiamo per un’escursione di tre giorni, anche se il programma si modificherà in itinere. La mattina Humberto ci accompagna ad un altro pullman turistico. Componenti diversi ma stessa guida (che sente le necessità di occupare ogni momento di silenzio durante il viaggio, ripetendo le stesse cose infinite volte). Tocchiamo praticamente quasi tutti i resti archeologici della valle Sagrada, che gli Inca consideravano tale per la fertilità delle sue terre. Luoghi veramente belli e che narrano un passato glorioso ed una grande passione per la terra e per tutto ciò che viene da essa. Un po’ alla volta entriamo quasi in confidenza con l’antica lingua degli inca, il quechua, ancora parlato dalla maggioranza delle persone (e unico idioma utilizzato da molti anziani) e che dà il nome a tutte le località che sono in questa regione. Nel pomeriggio dovremmo fermarci a Ollataytambo per prendere il treno diretto ad Agua Caliente (il paese sotto le rovine di Machu Pichu), ma ci accorgiamo che il biglietto indica il giorno successivo! L’errore viene riparato con un cambio di programma. Torniamo con il pullman a Cuzco, dove il giorno successivo (dopo una mattina passata a riposare ed a copiare dal mio PC i file musicali di qualche centinaio di canzone italiana per i volontari dell’OMG) la nostra guida Humberto ci viene a prendere per farci ripercorrere la valle Sagrada e portarci a Ollataytambo. Due ore di treno per Agua Caliente e pernottamento in uno dei tanti alberghi di questo bruttissimo paesello fatto solo di strutture non terminate che ospitano alberghi, ristoranti e negozi per turisti. La mattina partiamo per il più famoso sito archeologico dell’America del Sud: Machu Pichu, scoperto solo un secolo fa. Il pulmino ci porta all’ingresso circa 2 ore prima del giro con la guida, per cui abbiamo tempo di avventurarci in un’escursione su una delle due vette che circondano le rovine. Non arriviamo in cima, ma dopo circa un’ora di salita a tratti impegnativa, la vista dal monte Machu Pichu (che da il nome alla località) è fantastica. Tempo di scendere e dopo un breve riposo iniziamo il giro per le interessanti rovine di questo fantastico e ben conservato enorme luogo sacro per gli Inca. Scendiamo ad Agua Caliente per un pranzo e dopo un po’ di riposo (sul divano nell’atrio del nostro albergo) prendiamo il treno che ci riposta a Ollataytambo. All’arrivo dovrebbe attenderci Humberto, che però arriva con un po’ di ritardo spingendo la macchina guasta! Dopo un po’ di ricerca ci trova un taxi che ci porta in un albergo nella valle Sagrada (precisamente nella località di Urubamba) in cui passeremo la notte. Il giorno successivo si parte prestissimo per riuscire a visitare ancora due località della valle, tra cui una salina (tutt’ora utilizzata dai campesiños della zona) realizzata sfruttando una sorgente d’acqua salata che si trova a più di 3500 metri di altitudine! Passiamo dalla casa di Cuzco a prendere i bagagli e a salutare Marta che ci prepara un ultimo caffè e poi partiamo con Humberto per la nostra nuova meta: il lago Titikaka. Il paesaggio andino che attraversiamo è ormai conosciuto ma non smette mai di incantare, soprattutto quando attraversiamo un passo a 4300 metri che porta poi su un enorme altipiano pressoché desertico a più di 4000 metri di altitudine. Le case costruite in adobe (fango e paglia cotti al sole) sono sempre povere e molte di queste sono state dipinte (di nascosto in notturna) con slogan e simboli dei partiti candidati alle prossime elezioni amministrative. Ogni tanto si vedono anche gruppi di campesiños radunati intorno ad una scuola, intenti ad ascoltare qualche funzionario ministeriale che spiega come votare. Tra l’altro i simboli delle liste sono probabilmente disegnati per “aiutare” i tanti analfabeti, visto che ricordano i contrassegni che usavamo da bambini all’asilo: foglie, rastrelli, palloni, alberi, scale, strade, badili, fiori ecc. Incontriamo anche vecchi camioncini carichi di casse di amplificazione di ritorno da qualche comizio improvvisato nelle piazze. E si vedono in giro numerosi gruppi di operai intenti a sistemare strade e opere pubbliche, cosa che (tutti assicurano) avviene solo prima delle elezioni. Una pratica universale! Tra l’altro anche nei villaggi più poveri non manca quasi mai una scuola in buone condizioni, una piazza con fontana e un campo di calcio. Il senso di comunità di questa gente è veramente forte e compatto, e anche la capacità di vivere con poco, anche se gli amministratori locali forse dovrebbero ricordarsi anche di altri bisogni di questa gente, che in buona parte in casa non ha ancora elettricità e acqua corrente.

Visitando ogni tanto qualche piccola località turistica (tra cui una meravigliosa chiesa che qui chiamano – in modo un po’ altisonante – la “Cappella Sistina d’America”), arriviamo in serata a Puno, principale città (veramente brutta) peruviana sul Titikaka, il lago navigabile più alto del mondo (siamo a 3800 metri). Arriviamo in tempo per la Messa della sera che si conclude con un canto imparato anni fa ai campi scuola dell’Azione Cattolica; una cena a base del tradizionale pollo ai ferri e poi in albergo. La mattina successiva ci imbarchiamo per un’escursione di due giorni sulle isole del lago. Le prime che visitiamo sono molto particolari; si tratta di isole galleggianti costruite artificialmente da alcune popolazioni locali (entrate in conflitto con gli inca) utilizzando lo strato di terra formato dai canneti. Anche se l’accoglienza ad hoc per i turisti sembra un po’ in stile “Gardaland”, è veramente interessante vedere lo stile di vita semplicissimo (e naturalmente molto povero) di questi villaggi. Riprendiamo il battello che ci porta poi ad un’altra isola in mezzo al lago, grande più o meno come Montisola sul lago d’Iseo. I paesaggi sono veramente belli ed il blu intenso del lago regala panorami unici ed un tramonto fantastico che gustiamo dalla cima dell’isola. Veniamo ospitati da alcune famiglie; a noi capita probabilmente una delle più povere dell’isola (nella piccolissima casa di fango gestita da una vedova di 46 anni che vive con i due figli e la madre novantenne non c’è praticamente nulla; per prendere l’acqua bisogna andare ad un pozzo a 20 minuti a piedi). Nonostante, per i mezzi a disposizione, l’ospitalità sia ottima, ci sentiamo quasi “in colpa” a mangiare i semplici ma buoni piatti che ci vengono offerti. Il giorno successivo, dopo aver consumato la colazione con la nostra famiglia ospitante, ripartiamo per qualche ora su un’isola vicina, dove oltre ad altri meravigliosi panorami possiamo anche vedere delle danze tradizionali per la festa patronale. Pranzo a base di (ottimo) pesce e poi ripartiamo con il battello per Puno. Qui ritroviamo Humberto, che ci accompagna a prendere il pullman che ci porta nella seconda città del Perù: Arequipa, dove arriviamo in tarda serata. Da qui prenderemo il giorno dopo l’aereo per Lima, ma prima c’è tempo per una visita alla città, che vanta una bella piazza de Armas e alcuni monumenti interessanti. In particolare ci colpisce il monastero di Santa Caterina, una vera e propria città nella città con celle che sembravano vere e proprie villette. La vita delle monache aveva poco a che fare con lo stile monastico, fino al punto che dovette intervenire Pio IX per riportare un po’ di regole. Dopo un buon pranzo ed un deludente tour marcatamente “turistico” per i dintorni della città, prendiamo il volo che in serata ci riporta nella casa base dell’OMG a Lima. La casa è più che mai un porto di mare con decine di persone che vanno e vengono; durante la nostra permanenza incontriamo anche volontari conosciuti qua e là durante il nostro viaggio. Ci fermiamo a Lima due notti e visitiamo anche la città che ci conferma l’impressione iniziale di aver pochi motivi per farsi ammirare e visitare. Sono anche i giorni della festa della Patria, per cui la città è tirata a lucido e piena di bandiere (che sono obbligatorie da esporre in tutte le abitazioni!). Abbiamo anche il tempo per un’ultimo pranzo peruviano, che conferma la buona impressione che abbiamo avuto della cucina locale. Dopo la serata tranquilla nella casa dell’OMG il giorno successivo ripartiamo. Più di dieci ore di aereo che ci porteranno a Madrid dove, dopo un lungo scalo di 12 ore (che ci permetterà così di visitare anche la capitale spagnola) torneremo in Italia.

Un altro viaggio si è concluso. Rispetto ad altri viaggi la principale particolarità era sicuramente quella di essere la cosiddetta luna di miele con la mia neomoglie Silvia, cosa che ha dato all’esperienza un sapore particolare e naturalmente romantico. E’ stato poi il primo viaggio in America Latina, terra che non ha sicuramente deluso per i paesaggi, per i meravigliosi ambienti naturali e per la splendida gente, ma che ci ha fatto incontrare una povertà diffusa della quale tante volte ci avevano parlato e ci avevano mostrato le immagini. Una società complessa e con una storia tortuosa, che davanti a sé sembra non offrire grandi prospettive e speranze per i peruviani. Sempre più giovani cercano di costruirsi un futuro con un titolo di studio, che quasi sempre li porta nelle città a cercare una vita diversa da quella dei genitori. Una vita migliore che però fatica ad arrivare. Destino comune a molti paesi definiti in “via di sviluppo”; in Ucraina per esempio la situazione è pressoché identica, con questa forma di neo-urbanizzazione che colpisce soprattutto i giovani attratti dalle illusioni di un consumismo che li riempie di illusioni e di sogni e che poi non riesce a dare loro risposte e opportunità.

In mezzo a questa umanità è stato veramente edificante incontrare e conoscere l’opera di molti volontari nostri connazionali, tra le poche persone che in quest’epoca ci fanno sentire ancora orgogliosi di essere italiani.

giovedì 22 luglio 2010

Diario di Bordo viaggio in Perù - parte UNO



Raccontare in poche righe la prima settimana in Perù è veramente difficile. Nella mente scorrono innumerevoli immagini di paesaggi e di volti. Arrivando a Lima la prima impressione non è sicuramente positiva: una città enorme e caotica, con una cappa di nuvole e smog che mantengono il clima costante sui 20 gradi per tutto l’anno (e senza mai una goccia di pioggia) ma che impediscono anche di vedere il sole ed il cielo limpido. Poi la partenza per la regione di Huanuco attraverso un passo a quasi 5000 metri di altezza, dal quale passa una ferrovia che fino a pochi anni fa era la più alta del mondo. Nella città di Huanuco siamo ospiti di Giancarlo e della sua famiglia, volontario ormai storico e importante punti di riferimento per l’Operazione Mato Grosso, che in Perù ha il maggior numero di missioni e la sua base operativa. A Huanuco ha sede un centro logistico (dove vengono smistati anche i viveri e i vari materiali per le missioni) che serve le missioni della regione. La città si “vanta” di avere il miglior clima del mondo! In effetti la temperatura in questa stagione, che qui è praticamente quella fredda, oscilla costantemente tra i 15 ed i 25 gradi con un vento molto gradevole. Grazie alla grandissima disponibilità e passione per queste terre (a cui tanto ha dato) di Giancarlo, riusciamo a organizzare i nostri giorni di permanenza. Primo giorno di riposo e di visita alla città e al sito archelogico di Kotosh, i cui primi insediamenti risalgono al 2000 a.C. E poi il giorno successivo si parte per due giorni di escursione a Tingo Maria, la porta della foresta amazzonica. Ci si arriva in 2 ore di macchina, salendo per monti con pochissima vegetazione e trovandosi (dopo aver attraversato un tunnel di poche centinaia di metri), in mezzo ad un ambiente completamente diverso. Tingo Maria ha un clima decisamente umido e caldo; per fortuna abbiamo trovato due giornate non particolarmente calde e soleggiate. Victor, la nostra guida, ci prepara un itinerario “naturalistico”, tra cascate da raggiungere a piedi, laghi da favola circondati da alberi giganteschi, rettilario (con tanto di serpenti che vogliono metterci addosso per una foto ricordo) e parchi naturali a vedere una fantastica grotta con tanto di uccelli preistorici e pipistrelli. La cosa che più colpisce di questa regione è la vegetazione, fittissima e completamente diversa dalla nostra. Una vegetazione che però nasconde anche le piantagioni di coca. La città infatti è piena di poliziotti e militari (c’è una base finanziata dagli americani per combattere il narcotraffico). La guida ci dice che negli ultimi anni la coltivazione della coca è stata soppiantata da cacao e caffè ma le statistiche parlano di un aumento negli ultimi anni del 25-30% del traffico di coca dal Perù. Caratteristica di questa città (ma in realtà di quasi tutto il Perù) è la presenza di poche macchine e di moltissimi mezzi simili a degli Ape. Vedere le strade piene di questi strani mezzi è veramente curioso e ricorda le strade delle città indiane e cinesi. Per il pernottamento siamo sistemati a “Villa Jennifer”, da un danese che anni fa si è fermato qua con sua moglie (peruviana) ed ha creato un piccolo e incantevole albergo immerso nella vegetazione, dove possiamo iniziare ad apprezzare l’ottima cucina locale. Il ritorno dalla nostra escursione amazzonica è piuttosto avventuroso grazie ad un tassista che guida per 2 ore e mezza in montagna sotto una pioggia torrenziale; peccato che non vadano gli abbaglianti e i tergicristalli funzionino a tratti! Il giorno dopo partiamo invece per 3 giorni nel cuore delle Ande di questa regione. Partiamo prima dell’alba per affrontare quasi 8 ore di stradine a strapiombo tra i 3000 ed i 4000 metri di altezza, quasi tutte sterrate e con un autista alquanto “originale”, guidando sempre e solo in terza! Nonostante le condizioni dopo un viaggio del genere, ci avventuriamo in un breve trekking a quasi 4000 metri di altezza per riuscire a vedere la vetta della meravigliosa Cordigliera Huayhuash, di 6634 metri! Purtroppo le nuvole ci hanno lasciato soltanto qualche sprazzo di sereno qua e là, ma l’escursione è comunque affascinante, anche quando a causa della pioggia siamo costretti a rifugiarci in una casa di campesiños, che ci offrono formaggio e della fantastiche patate. Dopo aver trascorso la notte e aver partecipato alla messa nel paese di Baños, finalmente partiamo per visitare le vicine missioni dell’Operazione Mato Grosso. Lungo la strada troviamo anche un piccolo inconveniente: un enorme masso è franato ed impedisce il passaggio. Ci sono alcune persone che utilizzando dei “crik” come leva, stanno cercando di buttarlo giù dalla scarpata, gridando per avvisare un campesiños che sta lavorando nei campi a fondo valle. Dopo circa mezz’ora il lavoro è fatto e possiamo ripartire alla volta di Llata, che è stata la prima città a dichiararsi libera dalla dominazione spagnola in tutta l’America del sud. Nella cittadina (che conta circa 10.000 abitanti) la parrocchia è diretta da don Andrea che viene da Ome. L’accoglienza è fantastica e si percepisce la voglia di raccontare a qualche amico il lavoro che stanno facendo. La parrocchia è veramente un luogo di testimonianza forte del messaggio evangelico. E’ sempre aperta ai poveri (che qui non mancano certo e che possono trovare sempre un pasto caldo e degli aiuti non solo materiali) e alle persone che hanno bisogno. Le attività caritative e di catechesi sono gestite da don Andrea e da molti collaboratori volontari che vivono insieme secondo lo spirito delle prime comunità di apostoli. Essere accolti in questo spirito di fraternità (comune a tutte le missioni e parrocchie dell’Operazione Mato Grosso) è veramente una grazia e uno stimolo sotto molti punti di vista. Visitiamo la cittadina accompagnati da don Andrea che ci racconta anche delle tante situazioni di povertà che qui si incontrano. Le case (come in quasi tutto il Perù) sono tutte costruite con i mattoni di fango e coperte da tetti di lamiera o di paglia per i più poveri. In queste settimane tra l’altro quasi tutte le case sono completamente dipinte con slogan e simboli dei vari partiti e candidati alle prossime elezioni. Speriamo che quest’abitudine non arrivi in Italia! Colpisce poi vedere anche nei paesini più dispersi che lo stato ha costruito una piazza con fontana e aiuole ovunque, non preoccupandosi però della situazione di estrema povertà e della mancanza di servizi di base (acqua, fognature ecc.) in cui vive la maggioranza della popolazione di queste terre. Come in quasi tutti i paesi in queste condizioni, la maggior parte dei giovani si sposta nelle vicine città per studiare e per cercare lavoro, andando poi spesso ad ingrossare le baraccopoli (a Lima ne abbiamo viste alcune). Si cerca in ogni modo di sfuggire ad una vita dura basata sulla sussistenza e su una povertà che difficilmente qui si riuscirà a combattere. Proprio per questo uno dei progetti principali dei volontari dell’OMG è quello che ha creato scuole e cooperative per la costruzione di mobili che poi vengono venduti in Perù, in America e soprattutto in Italia. Prima di partire per andare a visitare una di queste cooperative di lavoro che si trova a Chivilla, andiamo a trovare madre Beatrice, che vive sui monti che circondano Llata insieme ad una trentina di ragazze che studiano in una scuola magistrale creata dell’Operazione Mato Grosso. L’ambiente naturale qui come altrove è fantastico, ma le scomodità non mancano: 30 ragazze che studiano e vivono in due stanzoni! L’aula diventa anche mensa spostando le panche, e si cucina all’aperto sotto un portichetto perché gli spazi all’interno non sono sufficienti. Le ragazze che finiranno la scuola (durante la nostra visita stavano iniziando l’esame del primo anno) avranno però un lavoro sicuro nelle scuole gestite dall’operazione. E questo non è poco qui… Riusciamo anche a visitare una scuola pubblica, che si sta preparando in grande alle celebrazioni per la festa della Patria che si celebra il 28 luglio e che è attesissima da tutti. Dopo aver salutato don Andrea (che lasciamo in una frazione poco distante per celebrare una Messa, insieme a 4 bambini che hanno saltato la scuola per andare a fare i chierichetti…) scendiamo a Chivilla nella cooperativa che da lavoro ad una trentina di giovani, gestita da Giuseppe di Galbiate e da sua moglie Nadia, che ha appena avuto la seconda bambina. Le strutture sono veramente fantastiche e tutte addobbate con i bellissimi lavori frutto della cooperativa. Vedere come vengono realizzati, decorati e pitturati i mobili che tante volte abbiamo visto nelle mostre o nelle case di amici è veramente interessante e stupendo. Così come è edificante vedere lo spirito di comunità con il quale vivono e lavorano tutti i ragazzi e la coppia di italiani che li anima. Dopo la visita ripartiamo per tornare a Huanuco; il nostro autista non ha particolarmente fretta e arriviamo verso le 19.30 da Giancarlo, giusto il tempo per scambiarsi racconti e impressioni, e lasciarli le tante fotografie scattate durante le escursioni di questi giorni. Giancarlo nel frattempo ci ha organizzato lo spostamento a Lima ed i giorni successivi; il giorno dopo ci accompagna all’aeroporto dove prendiamo il volo per Lima (decisamente più rapido e comodo del pullman!), dove arriviamo in tempo per il pranzo con i volontari italiani che lavorano nella “sede centrale e operativa” dell’OMG. La casa è in realtà anche un centro di accoglienza per i tanti volontari (temporanei e permanenti) e le altre persone (turisti, parenti ecc.) che devono passare da Lima per qualunque motivo; è un vero e proprio “porto di mare” ma lo spirito di accoglienza è come sempre fantastico. Giusto il tempo di riposare un po’, fare una passeggiata per il quartiere e cenare. Poi a dormire presto perché il giorno dopo ci attende il volo per Cuzco allle 5.45! Così potremo visitare la parte nord del paese, sicuramente più turistica di quella vista fino ad ora, che probabilmente ci farà conoscere meglio il passato di questo paese. Il presente, quello dei campesiños e della gente che vive nella foresta e sulle Ande, possiamo dire di averlo conosciuto meglio in questi giorni e tra le missioni visitate.

martedì 1 giugno 2010

Ai "miei" adolescenti di Prevalle


Carissimi,
da tempo pensavo di scrivervi una lettera per condividere con voi alcuni pensieri e sentimenti. Il bel-lissimo messaggio che mi avete letto alla festa dell’oratorio (insieme al regalo del quale vi ringrazio di cuore) mi ha dato un ulteriore stimolo a riguardo. Anche perché quella sera avrei avuto molte cose da dirvi ma l’emozione (e la commozione) e la sorpresa mi hanno fatto uscire solo alcuni pensieri confusi.

La scelta di cambiare lavoro non è stata facile e, come tutti i distacchi, costringe a guardarsi dietro. Tredici anni sono veramente tanti; la maggior parte dei ragazzi delle medie di adesso non era neppure nata quando iniziai a fare l’educatore al CAG di Prevalle! Ho conosciuto centinaia di persone e ho con-diviso con questa comunità molti momenti di gioia, di lavoro, di soddisfazione, ma anche di fatica, di difficoltà e pure di dolore (il pensiero va ad alcuni ragazzi che non ci sono più: Luca, Nadir, Usman…).

Scorrendo con la memoria questi anni vedo tante riunioni, iniziative, attività, gite, feste, giochi, compiti e molto altro. Ma soprattutto vedo i volti di tante persone: bambini, ragazzi, adolescenti, educatori, giovani, genitori, sacerdoti, volontari, amministratori e funzionari comunali, operatori sociali, volonta-ri delle associazioni ecc. Non lo dico certo per piaggeria, ma il distacco più difficile sarà soprattutto con voi adolescenti. Alcuni di voi erano alle elementari quando ci siamo conosciuti ed ora sono maggioren-ni!
Vi auguro di cuore di vivere una vita in pienezza, non limitandovi a sopravvivere come fanno molti. Dio ci ha dato una sola vita non certo per vivere ognuno per sé come delle isole deserte! Tutte le iniziative ed i progetti (come MyTown) che abbiamo fatto e che continueranno, vogliono aiutarvi a gustare la bellezza del vivere e del darsi da fare in una comunità. Cercate la vostra strada per ritagliarvi un ruolo nel vostro paese, attraverso il servizio in oratorio, nelle associazioni, nel volontariato, nella politica. Vivere la vita in pienezza significa anche questo; cercare di rendere un po’ migliore questo mondo…

Nel brano del libro “Il piccolo principe” in cui si racconta dell’incontro con una volpe, l’animale chiede di essere addomesticato. Chiede cioè che si crei un legame, che si instauri una relazione significativa. E specifica che per questa cosa serve pazienza. Ma alla fine, quando questo legame è stato creato ed è giunto il momento che i due si lascino, la volpe ricorda al piccolo principe che lui diventa responsabile per sempre di quello che ha addomesticato. Andate a leggere questo capitolo (e magari l’intero libro); ne vale la pena! Questo testo mi ricorda la responsabilità dell’aver creato dei legami significativi con voi. La distanza ed il fatto di vedersi molto di meno saranno sicuramente un ostacolo, ma i rapporti personali con delle basi solide sono destinati a durare. Dipende da noi! E poi sapete che la mia casa è sempre aperta! Basta trovarmi…

Sono molte le cose che vorrei dirvi in questa lettera. Ma non avrebbe neanche senso scrivervi cose che spero invece di avervi trasmesso in questi anni di esperienze e di momenti insieme. Vi chiedo scusa per le volte in cui mi sono dimostrato impaziente e non ho saputo accogliervi e ascoltarvi come avrei dovuto fare.
Il regalo più bello che potete farmi (oltre a quello stupendo che mi avete già dato), è quello di continu-are a partecipare alla vita di Punto, dell’oratorio e del paese in modo attivo, da protagonisti, sentendo vostra la comunità al punto di avere il bisogno di fare qualcosa per gli altri.

Grazie ancora dei bei momenti passati insieme, della vostra amicizia e di... esservi lasciati addomesticare!
Vi abbraccio tutti con tantissimo affetto e tanta amicizia, nella speranza che il legame che abbiamo cre-ato insieme non venga scalfito dal tempo! Dipende da noi! Vi voglio bene fesss…


Vostro Roberto

domenica 30 agosto 2009

Diario di Bordo Transiberiana - puntata Sette - l'ultima


Ci eravamo illusi di avere di fatto terminato la nostra avventura una volta arrivati a Vladivostok, ma così non è stato. Anzi! La mattina di venerdì ci alziamo alle 8 (ora locale, quindi l’una di notte a Mosca) per andare all’aeroporto. Facciamo il chek-in e quasi per caso vediamo un orario diverso sulla carta d’imbargo rispetto a quello della partenza. Scopriamo così che l’aereo ha tre ore di ritardo! Diventa così impossibile prendere l’aereo per Daniel e Alberto, per i quali iniziamo una ricerca su internet (biglietti poi comprati dalla cugina Michela svegliata nel cuore della notte!). Alla partenza però il ritardo diventa di 4 ore, per cui quando arriviamo a Mosca dopo più di 9 ore di aereo, anche il mio volo salta (visto che avremmo poi dovuto cambiare aeroporto…). Così inizia anche per me una ricerca dei biglietti fatta dall’Italia da Silvia. Ma per problemi tecnici vari, riesco a comprare il biglietto solo in aeroporto, sempre usando un operatore italiano, visto che tutti gli uffici delle compagnie sono ormai chiusi! Passiamo così la notte tentando di dormicchiare sotto le scomodissime poltrone delle sale d’attesa. E all’alba iniziamo a darci da fare per un altro problema. Il nostro visto è scaduto e a quanto pare va assolutamente rinnovato anche per un solo giorno. Iniziano così alcune ore di ricerca dei funzionari dell’ufficio consolare, che troviamo solo dopo aver mobilitato un sacco di persone. Un’addetta dell’ufficio informazione ci aveva anche avvertiti che in quanto italiani, saremmo sicuramente riusciti a risolvere il problema! Nel frattempo per un paio d’ore “facciamo squadra” aiutando anche un povero ragazzo keniota; anche lui ha perso l’aereo e non riesce a chiamare il fratello che vive a Volvograd (l’ex Stalingrado). In compenso il volo per Verona è diretto e l’arrivo previsto per le 17.
E’ quasi paradossale che gli unici spostamenti che hanno dato problemi sono stati quelli con gli aerei (con biglietti comprati da mesi) rispetto a quelli con i treni, organizzati sul posto e sul momento.
Italiani. Popolo di viaggiatori!

Diario di Bordo Transiberiana - puntata Sei


Vladivostok. L’ultima città russa in quella striscia di terra che costeggia la Cina prima che inizi la Corea del Nord. L’ultima importante città ad est di questa nazione. Finalmente siamo arrivati in questa città, che era la tappa d’arrivo di questo viaggio fantastico. Abbiamo attraversato tutta la Russia e la Siberia: 9300 km tra Mosca e Vladivostok (personalmente arrivo quasi a 10000 contando anche il tratto da Kiev a Mosca), tutti in treno, sul quale abbiamo passato circa 155 ore e 7 notti. La mitica transiberiana è finita. Tra poche ore ci attende uno dei voli nazionali più lunghi del mondo (quasi 10 ore per tornare a Mosca) e poi altri due aerei per tornare in Italia, dove ci attendono temperature decisamente superiori a quelle che ci hanno accompagnato in queste settimane.
L’ultimo tratto di viaggio, da Irtkustk a Vladivostk è stato quello più lungo, durato ben 75 ore. Per fortuna avevamo trovato il biglietto in terza classe, che da la possibilità di socializzare e di conoscere molte più persone. E quanta gente che abbiamo visto e incontrato in questo viaggio. Tutti cittadini di questa enorme nazione, anche se i “russi puri” negli ultimi giorni erano sempre più rari, avendo lasciato spazio ai discendenti di quelle popolazioni indigene (come i buriati) che prima gli zar grazie all’aiuto dei cosacchi, e poi i bolscevichi, hanno letteralmente colonizzato e reso minoranza nelle loro terre. Ci sono poi i discendenti dei milioni di cittadini della parte europea dell’URSS che vennero spostati forzatamente, per poter colonizzare e “russificare” queste terre. Per parecchio tempo abbiamo giocato con alcuni bambini: Emzar di 9 anni (papà georgiano e mamma russa) ed Elia undicenne (mamma ucraina e papà russo, probabilmente ebreo). Le storie delle persone che viaggiano con noi sono le più diverse… Non abbiamo trovato quasi nessuno che si spostasse per turismo (tranne alcune famiglie che tornavano dal mare); quasi tutti erano in viaggio per andare a trovare parenti lontani. Con noi addirittura c’era una ragazza partita da Irkutsk per andare a studiare all’università di Vladivostok come doganiera. Più di 4000 km per raggiungere la sede di studio più vicina (visto che l’altra facoltà di questo tipo è a Mosca, ancor più lontana!).
Veramente un altro mondo. Difficile da capire e da interpretare. Con una storia complessa e poco conosciuta da noi. Tutta la Russia asiatica per esempio sarebbe da considerare zona colonizzata dagli zar prima e dai comunisti dopo; si pensi alla storia del Caucaso o di quelle repubbliche centroasiatiche che nel 1991 sono state tra le prime ad ottenere l’indipendenza da Mosca, con il grande disegno di creare una grande repubblica islamica dell’Asia Centrale, come era nell’800 con il Turkestan. Un mondo difficile da capire anche nelle cose più semplici, come la grande incuria che la maggior parte della popolazione ha verso l’ambiente nel quale vive, quasi sempre maltrattato da ogni sorta di rifiuti, anche di grandi dimensioni, abbandonati in boschi e paesaggi che dovrebbero meritare enorme rispetto anche solo per la bellezza e la serenità che sanno trasmettere.
Le impressioni di questo viaggio sono tante, come è naturale che sia. Di certo c’è la soddisfazione di avercela fatta a percorrere la ferrovia più lunga del mondo, solo con le nostre forze, senza né agenzie né altre organizzazioni a far da tramite. Resteranno nei ricordi le ore passate nelle stazioni per tentare di capire gli orari ferroviari (scritti in modo diverso in ogni stazione) divincolandosi tra i fusi orari. Così come resteranno i volti delle tante persone incontrate sui treni. Volti che si portano dietro storie con speranze, gioie, sofferenze, delusioni, sogni. Emozioni che sono uguali nel cuore delle persone di ogni parte del mondo, con qualunque cultura, sistema economico o politico. O forse anche questi sentimenti sono più grandi qui che altrove, nei cuori della gente che vive in questa terra dove la dimensione di tutto (edifici, piazze, strade, monumenti, campi, fiumi…) ricorda la grandezza di questa nazione con un grande e doloroso passato ma con un futuro tutto da scrivere sotto un nome: Russia.

domenica 23 agosto 2009

Diario di Bordo Transiberiana - puntata Cinque


Siamo quasi alla fine del nostro viaggio, e prima di riprendere il treno per l’ultima, lunghissima tappa di 72 ore fino a Vladivostok, abbiamo fatto qualche giorno di pausa al meraviglioso lago Baikal. Arrivati a Irkutsk, siamo saliti su un pulmino da 15 posti per un avventuroso viaggio di quasi 7 ore in direzione del lago.
Da subito l’impressione arrivati a Irkutsk и stata quella di trovarsi in mezzo a gruppi etnici per buona parte diversi dai russi. Si tratta dei Buriati buddisti (cugini stretti dei mongoli) che qui costituiscono una buona parte della popolazione e la maggioranza nei pressi del lago Baikal, che infatti fa parte della Repubblica semiautonoma dei Buriati.
Per arrivare siamo saliti su alcune colline che presto ci hanno offerto un paesaggio che da noi si trova solo in alta montagna. Paesi e case sempre piщ rari e strade solo sterrate facevano da cornice alla discesa che ci portava a questo lago, praticamente quasi disabitato e con pochissimi segni della presenza umana.
Il battello ci ha portati sull’isola, dove dopo la registrazione (tutto il territorio fa parte di un parco nazionale) il pulmino ha attraversato buona parte dell’Isola Olkhon, fino ad arrivare al villaggio che ci ha ospitati. Anche in questo le dimensioni sono enormi. Il lago misura 636 km di lunghezza e circa 60 di larghezza; и il piщ profondo del mondo (in un punto il fondo raggiunge i 1637 metri!) e contiene un terzo dell’acqua dolce del pianeta. La nostra isola, che vista sulla cartina и minuscola rispetto al lago, и lunga 74 km! In lontananza si vedono dei bei monti coperti da pinete, mentre a poca distanza dal nostro paese, c’и una baia con delle scogliere fantastiche, che offrono panorami e tramonti incantevoli.
Durante il soggiorno c’и tempo anche per tentare il bagno nel lago (la temperatura dell’acqua sembra che non superi mai i 15 gradi, e si sente!). L’acqua и talmente pulita da essere potabile a quanto pare; una volta uscito dall’acqua il freddo и stato alleviato da un paio di bicchieri di vodka generosamente offerti da un gruppo di russi sulla spiaggia, incuriositi dalla presenza di un turista italiano.
Il popolo dei buriati considera quest’isola una dei cinque poli mondiali di energia sciamanica; in vari punti dell’isola (sulle scogliere e su una collina poco distante sulla quale sono salito) ci sono infatti dei pali completamente ricoperti da lacci di stoffa, preghiere e altri oggetti che probabilmente sono intenzioni di preghiera. Qui c’и un forte legame con i buddisti del Tibet, e questo clima lo si respira in questi luoghi cosм caratteristici.
Il paese и carino e si capisce subito che negli ultimi anni ha vissuto una sorta di boom turistico; ovunque ci sono affittacamere, negozi di souvenir o servizi vari per i turisti. Turisti che sono tanti e quasi tutti russi; incrociamo qualche tedesco, spagnolo e francese ma degli italiani neppure l’ombra dall’Anello d’Oro intorno a Mosca. Eppure a fianco di tanti sforzi per attirare turisti e offrire loro servizi di ogni genere (noleggi vari, saune, escursioni guidate ecc.), resta la tipica incuria russa per l’ambiente. Qui и normalissimo buttare qualunque tipo di rifiuto o di oggetto che non serve piщ, in un bosco o in una zona fuori dal paese. Dietro le case ci sono distese di macchine o navi abbandonate ridotte a un ammasso di ruggine e sporcizia. Addirittura durante una camminata, trovo in mezzo ad una bella pineta una vera e propria discarica a cielo aperto (che noi chiameremmo abusiva…); per almeno 300 metri la strada nel bosco и completamente circondata di rifiuti di ogni tipo, ed i numerosi gabbiani dell’isola fanno la spola tra la spiaggia e questo angolo di paese che vanifica gli sforzi di molti per rendere accogliente ai visitatori un ambiente che merita veramente di essere visitato e conosciuto.
Russia. Terra di grandi contraddizioni. Economiche, sociali, ambientali, politiche. E come sempre, per vederle bisogna uscire dalle cittа, dalle capitali che dicono sempre poco su come vive una nazione. Le cittа che abbiamo visto erano quasi sempre ordinate, imponenti, pulite, addobbate di fiori all’inverosimile. I paesi della periferia di questa grande nazione non sono assolutamente cosм. Appaiono sempre piщ dimenticati dai governanti che distano migliaia di chilometri. A Olkhon non solo non ci sono le fogne, ma non c’и neppure l’acquedotto; ogni giorno delle vecchissime autocisterne fanno la spola tra i pochi pozzi del paese e le cisterne delle case. Qui un po’ di benessere sta arrivando grazie al turismo, ma nelle altre decine di migliaia di villaggi della Russia? Sono ancora lontani da quel “benessere” che poi, spesso tale non и, impegnati come siamo a cercare solo un “benavere”…
P.S. scusate i segni strani ma le tastiere russe non hanno le vocali accentate...

giovedì 20 agosto 2009

Diario di Bordo Transiberiana - Puntata Quattro

Sono quasi 24 ore che siamo su questo treno e ci resteremo altre 6-7 ore; siamo a metà del nostro viaggio. Da poco infatti abbiamo passato il km 4600. Domani mattina saremo a Irkutsk, a 7 ore di fuso dall’Italia. E poi prenderemo un pullman per il lago Baikal, a circa 7 ore di strada. E su un’isola in mezzo a questo enorme lago (il più profondo del mondo, contenente un terzo delle acque dolci del pianeta!) passeremo 4 o 5 giorni in un paesino di pescatori, prima di tornare a Irkutsk per l’ultimo, lunghissimo, tratto di Transiberiana: 70 ore alla volta di Vladivostok. La giornata oggi è trascorsa tranquilla in compagnia di alcuni compagni di viaggio che abbiamo conosciuto sul treno; ora nel nostro scompartimento ci sono una ragazza-madre russa con la figlia di tre anni, Sasha. Il cielo è quasi sempre stato nuvolo ed a tratti ha piovuto, cosa che per certi versi ha reso ancora più affascinante il paesaggio che vediamo fuori dal finestrino.
Anche oggi ho trascorso un po’ di tempo insieme ai due libri che mi stanno accompagnando in questo viaggio: il “Diario di Nina” (diario di una ragazzina russa adolescente nella Mosca degli anni 30, finita 10 anni nei Gulag perché aveva osato scrivere sul suo diario contro i bolschevichi) e soprattutto il meraviglioso libro di Tiziano Terzani “Buonanotte signor Lenin”. Lo avevo già letto alcuni anni fa, ma l’ho voluto portare con me ora che sto percorrendo le stesse terre che Terzani attraversò nel 1991, proprio nelle settimane in cui l’Unione Sovietica si sciolse in maniera quasi assurda. Fa impressione pensare che praticamente quasi tutta la ferrovia che stiamo attraversando, compresi ponti, stazioni e altre infrastrutture, è stata costruita dai prigionieri politici. E così anche tutto ciò che c’è in Siberia, prima dagli esiliati forzati dell’epoca zarista, e poi dai milioni di deportati (la maggior parte dei quali non tornarono vivi) degli anni bui staliniani. Quegli anni che Crusciov cercò poi di interrompere andando contro quel sistema politico e di potere che alla fine praticamente lo eliminò per riportare il sistema su binari più in linea con il regime sovietico. Questa terra è da sempre stata abitata da pochissime tribù indigene, che vivevano in totale armonia con la natura della quale erano circondate. Furono gli zar, volendo espandere ad est il proprio impero, a mandare i cosacchi (cristianissimi combattenti fedeli alla corona) per assoggettare queste genti e per annettere la “Terra che dorme” al grandissimo impero russo. Ma fu poi Stalin che ne intuì le potenzialità economiche (è una terra ricchissima di risorse naturali e minerali) e strategiche (prima il Giappone e poi la Cina in quegli anni premevano alle porte della Siberia e avevano delle mire espansionistiche su queste terre). Per questo inviò milioni di persone, la maggior parte delle quali deportate forzatamente, altre dietro la truffaldina promessa di terre nuove e fertili da colonizzare. Addirittura milioni di ebrei (da tutto il mondo) vennero in una città per fondare una Repubblica Autonoma Ebrea (che esiste tuttora, pur essendo ormai quasi disabitata), accorgendosi una volta arrivati che questa non era la terra promessa.
Fa impressione pensare che questi binari sono costati milioni di morti, spesso solo perché appartenevano ad una classe sociale sulla quale si abbattè l’ira di Stalin. Come i Kulaki, sterminati perché erano possidenti terrieri e quindi considerati un ostacolo alla collettivizzazione delle terre; la maggior parte di loro in realtà possedeva una vacca e un orto!
Intanto il nostro treno, nella fredda notte siberiana (adesso ci sono poco più di 10 gradi anche se siamo a metà agosto), continua a scorrere lento ma costante su quelli che i russi continuano a chiamare “i binari fatti con le ossa”. Un modo sarcastico di rendere un po’ di giustizia a milioni di persone mandate a morire in questa “terra che dorme”.

lunedì 17 agosto 2009

Transiberiana Diario di bordo - puntata tre


Finalmente un viaggio che ci permette di passare una mattina in treno e di non scendere all’alba. Infatti dormiamo quasi 12 ore, anche se i posti sono quelli in alto nel corridoio, quindi i più stretti. Il Vagone però è particolarmente bello e pulito, pur essendo la terza classe. Addirittura ad un certo punto il tappeto del corridoio viene pulito con l’aspirapolvere dalla “provodnitsa”, la responsabile del vagone e di tutti i servizi per i passeggeri. Ci facciamo un bel thè caldo prendendo l’acqua dal Samovar che c’è su ogni vagone; siamo poi invitati a giocare a carte da un alcolizzato che tenta inutilmente sia di insegnarci un gioco russo, sia di offrici qualche bel bicchiere di vodka come colazione. Ad un certo punto tenta anche di parlarmi per 10 minuti di qualcosa che credo abbia a che fare con la letteratura e con la politica (tra le poche parole che ho capito c’erano Puskin e Stalin…). Gli altri russi sul vagone spesso passavano facendo delle espressioni e dei segni come per dirci che non sono tutti così gli abitanti di queste terre, che lui è così perché è pieno di vodka fin sopra i capelli. Siamo gli unici stranieri sul vagone, e molti russi sono contenti e orgogliosi che qualcuno venga da così lontano per visitare le loro terre, e ci tengono a fare bella figura. Dopo il pranzo a base di pane e salame (italiano questa volta!), abbiamo ancora un paio d’ore prima di arrivare a Novosibisk, la capitale della Siberia, da dedicare chi al riposo e chi alle letture, naturalmente con un occhio sempre al finestrino per ammirare i bellissimi paesaggi. Le betulle sono sempre più rade e spezzate dal gelo e la tundra siberiana è sempre più costellata di laghetti e paludi. I villaggi e le case sono sempre meno frequenti, e l’immenso cielo che si perde lontano all’orizzonte non manca di ricordarci non solo la grandezza e la calma di questa “terra che dorme” (questo significa Siberia), ma anche il nostro essere piccoli e insignificante nella grandezza di questo pianeta ed in particolare di questo continente asiatico che stiamo attraversando.

Tra poco saremo arrivati a Novisibirsk, a 5 ore di fuso dall’Italia e 3 da Mosca (come ci ricorda anche l’orologio presente sul vagone); compreremo il biglietto per Iskurks e poi cercheremo di passare una notte in albergo, perché dopo 3 giorni senza la possibilità di farsi una doccia e di lavarsi, iniziamo ad avere pietà dei nostri compagni di viaggio!

domenica 16 agosto 2009

Diario di Bordo Transiberiana - puntata due


Il vero viaggio è iniziato. Gli ultimi giorni hanno alternato giornate intense ad altre dove è stato possibile concedersi un po’ di riposo. Dopo essere partiti da Mosca siamo stati due giorni a Vladimir, una delle località dell’Anello d’Oro, città tranquilla ma con monumenti e parchi che ricordano il tempo in cui fu capitale della Russia prima che questa fosse trasferita a Mosca. Appena arrivati abbiamo dovuto girare due alberghi prima di trovarne uno economico, anche grazie all’aiuto di una gentilissima ragazza addetta alla reception di un albergo per “occidentali”, quindi con prezzi decisamente più alti. Siamo poi partiti alla volta di Nizvny Novgorod, anche questa volta su un affollato treno locale. In questa città, che vanta un bel Cremlino ed un piacevolissimo centro pedonale, siamo rimasti due giorni, dormendo in un ostello per studenti russi (trovato anche questo chiedendo aiuto alla reception di un albergo con prezzi da “businessman”!). E poi la sera del venerdì finalmente siamo saliti sul treno per la prima tratta seria di viaggio. Con una variazione però: anziché prendere la linea tradizionale per Perm, abbiamo deviato per Kazan, che sembra molto più particolare. A Yekaterimburg poi ci ricongiungeremo con la Transiberiana classica. Saliamo sul treno in Platkrast (cioè la terza classe) e prendiamo possedimento delle nostre tre cuccette; a qualunque ora ogni stazione è occasione per un saliscendi di gente. Arriviamo così prestissimo (alle 6 di mattina) a Kazan, capitale della repubblica del Tatarstan. La città è (come le altre viste fino ad ora) particolarmente pulita, vivace e moderna. Il Cremlino (patrimonio dell’Umanità per l’Unesco) è semplicemente fantastico, ed ha la particolarità di avere al proprio interno non solo una cattedrale ortodossa, ma anche una grandissima Moschea. Come in molte altre repubbliche russe infatti, la popolazione era a maggioranza musulmana, sottoposta poi ad una conversione forzata al cristianesimo e ad una “russificazione” durante il regime sovietico, che alla fine non ha fatto altro che alimentare, e non certo sopire, le spinte nazionalistiche che in queste terre lontane da Mosca sono sempre più forti. Eppure visitando queste città l’impressione è che dopo la caduta del Comunismo nel 1991 ci sia una nuova fede che accomuna tutti, pur con differenti modi di praticare. E’ il consumismo sfrenato che qui si vede in ogni angolo di strada: ovunque negozi, centri commerciali, pubblicità. In apparenza la Russia è ormai un paese occidentale da tanti punti di vista, spesso rinnegando per questo anche le proprie origini: ma è un processo omogeneo? Restando negli eleganti viali dei centri storici si direbbe di sì, ma probabilmente questa non è la vera Russia. Per accorgersene basta risalire in treno dopo poche ore. La mattina tra l’altro abbiamo avuto qualche difficoltà per fare il biglietto; i posti sul treno che avevamo in programma erano finiti, e abbiamo dovuto ripiegare su un altro in seconda classe, ognuno di noi in uno scompartimento diverso. Eravamo gli unici tre stranieri in tutto il vagone, pieno di famiglie russe che tornavano dalle vacanze sul Mar Nero. Ho diviso lo scompartimento con un simpatico bambino di 2 anni (Yaroslav) ed i suoi genitori. Ed ho fatto “interessanti” chiacchierate con una maestra di un orfanotrofio siberiano che era nello scompartimento di Alberto. Così la giornata è passata tra dormite, chiacchierate e soprattutto tanto tempo passato al finestrino a guardare un paesaggio fantastico che cambiava rispetto a quello che avevamo visto nei primi chilometri dopo Mosca.

Molte betulle sono spezzate dal gelo che in inverno tocca anche i meno 40 gradi; si iniziano a vedere molti abeti ed il paesaggio è reso dolce da alcune colline piene di boschi. Pochissimi i campi coltivati. Spesso si vedono villaggi o piccole città, e qui la vista è decisamente diversa rispetto alla Russia “occidentale”. I paesi sembra che si siano fermati al 1991, anno della fine dell’Unione Sovietica. Le strade asfaltate sono pochissime, non c’è illuminazione pubblica, si intravede una povertà diffusa e non esistono tutte quelle cattedrali del consumismo che sono arrivate in maniera prepotente nelle città e nei grossi paesi di altre zone del paese. Gli unici negozi sono quelli nei vecchi edifici con le tipiche scritte “magazin” o “produkty”. Come se buona parte del paese fosse rimasta esclusa da tutto. Dimenticata da un’ondata di benessere e di “occidentalizzazione” che sta arrivando in Russia, dopo i disastrosi anni ’90 dell’era Eltsin (quando l’allora presidente, primo dell’era post-comunista, svendette per pochi rubli moltissimi beni e aziende pubbliche, arricchendo la classe più spregiudicata e affarista del paese). Dimenticata dai governi di Mosca e da quelli delle varie repubbliche, che tengono i centri delle città come dei salotti ma non spendono quasi nulla per le infrastrutture, per i servizi e per i cittadini nel resto del paese. Dimenticata forse anche da Dio e dal mondo. In queste zone (come in buona parte dell’Ucraina e di altri paesi ex sovietici, come la Bielorussia), i vantaggi del nuovo sistema economico sono arrivati veramente per pochi. Ma per molti invece sono arrivati i lati negativi. La forbice tra i ricchi ed i poveri è spaventosamente aumentata, spazzando via una classe media che è praticamente quasi inesistente. E in questi paesini, che si intravedono dal treno, vivono quasi esclusivamente persone che sono completamente esclusa da questo grande banchetto-abbuffata a cui sta partecipando una parte del popolo russo.

Mentre concludo questa seconda parte di resoconto, sono in un internet-caffè di Yakaterinburg, città ordinata e pulita, famosa perché qui sono stati uccisi gli ultimi Romanov nel 1917. E’ la prima città importante sugli Urali dopo il confine naturale che divide il continente europeo da quello asiatico. Stanotte quindi abbiamo sconfinato in Asia! E stasera prenderemo il treno che ci porterà a Novisibirsk, capitale della Siberia. La temperatura è fantastica (tra i 15 ed i 20 gradi) e tutto procede per il meglio. Anche l’acquisto dei biglietti del treno non sta dando problemi, anche se la confusione inizia ad essere tanta, visto che tutti gli orari (compresi gli orologi nelle stazioni!) sono secondo l’ora di Mosca. E’ quasi un’impresa leggere i tabelloni degli orari dei treni (diversi in ogni stazione…) facendo i calcoli dei vari fusi orari. Ora siamo a più 2 ore rispetto a Mosca (quindi più 4 rispetto all’Italia), domani saremo a più 3 e tra 2 giorni a più 4! Ed allora saremo alla meta che meriterà qualche giorno di pausa: il lago Baikal.

mercoledì 12 agosto 2009

Diario di Bordo Transiberiana - puntata Uno

Finalmente dopo tanta attesa e preparazione si parte per questo lunghissimo viaggio. La partenza è all'alba da Verona. Scalo a Francoforte, dove un funzionario solerte del controllo passaporti, si accorge (il primo dopo 7 anni e circa 60-70 voli!) che non ho messo la firma sul passaporto. Quando lo ringrazio e gli faccio notare che sono quasi 10 anni che ho il passaporto senza firma, commenta subito con “10 anni da criminale”! Tedeschi solerti...
Poi l’arrivo a Kiev e lo spostamento a Chernigov dove mi ritrovo con Kristina e Svieta, che saranno le nostre interpreti durante il grest con i ragazzi dei lagher di Smiena e di Barvinok. E poi via fino al lagher dai bambini (in attesa dell’arrivo degli italiani il giorno dopo, arrivo che naturalmente non è senza qualche imprevisto, come lo smarrimento di ben 10 bagagli… grazie Alitalia!), dove resto fino al giovedì successivo, giorno fissato per la partenza verso la terra russa.