giovedì 20 agosto 2009

Diario di Bordo Transiberiana - Puntata Quattro

Sono quasi 24 ore che siamo su questo treno e ci resteremo altre 6-7 ore; siamo a metà del nostro viaggio. Da poco infatti abbiamo passato il km 4600. Domani mattina saremo a Irkutsk, a 7 ore di fuso dall’Italia. E poi prenderemo un pullman per il lago Baikal, a circa 7 ore di strada. E su un’isola in mezzo a questo enorme lago (il più profondo del mondo, contenente un terzo delle acque dolci del pianeta!) passeremo 4 o 5 giorni in un paesino di pescatori, prima di tornare a Irkutsk per l’ultimo, lunghissimo, tratto di Transiberiana: 70 ore alla volta di Vladivostok. La giornata oggi è trascorsa tranquilla in compagnia di alcuni compagni di viaggio che abbiamo conosciuto sul treno; ora nel nostro scompartimento ci sono una ragazza-madre russa con la figlia di tre anni, Sasha. Il cielo è quasi sempre stato nuvolo ed a tratti ha piovuto, cosa che per certi versi ha reso ancora più affascinante il paesaggio che vediamo fuori dal finestrino.
Anche oggi ho trascorso un po’ di tempo insieme ai due libri che mi stanno accompagnando in questo viaggio: il “Diario di Nina” (diario di una ragazzina russa adolescente nella Mosca degli anni 30, finita 10 anni nei Gulag perché aveva osato scrivere sul suo diario contro i bolschevichi) e soprattutto il meraviglioso libro di Tiziano Terzani “Buonanotte signor Lenin”. Lo avevo già letto alcuni anni fa, ma l’ho voluto portare con me ora che sto percorrendo le stesse terre che Terzani attraversò nel 1991, proprio nelle settimane in cui l’Unione Sovietica si sciolse in maniera quasi assurda. Fa impressione pensare che praticamente quasi tutta la ferrovia che stiamo attraversando, compresi ponti, stazioni e altre infrastrutture, è stata costruita dai prigionieri politici. E così anche tutto ciò che c’è in Siberia, prima dagli esiliati forzati dell’epoca zarista, e poi dai milioni di deportati (la maggior parte dei quali non tornarono vivi) degli anni bui staliniani. Quegli anni che Crusciov cercò poi di interrompere andando contro quel sistema politico e di potere che alla fine praticamente lo eliminò per riportare il sistema su binari più in linea con il regime sovietico. Questa terra è da sempre stata abitata da pochissime tribù indigene, che vivevano in totale armonia con la natura della quale erano circondate. Furono gli zar, volendo espandere ad est il proprio impero, a mandare i cosacchi (cristianissimi combattenti fedeli alla corona) per assoggettare queste genti e per annettere la “Terra che dorme” al grandissimo impero russo. Ma fu poi Stalin che ne intuì le potenzialità economiche (è una terra ricchissima di risorse naturali e minerali) e strategiche (prima il Giappone e poi la Cina in quegli anni premevano alle porte della Siberia e avevano delle mire espansionistiche su queste terre). Per questo inviò milioni di persone, la maggior parte delle quali deportate forzatamente, altre dietro la truffaldina promessa di terre nuove e fertili da colonizzare. Addirittura milioni di ebrei (da tutto il mondo) vennero in una città per fondare una Repubblica Autonoma Ebrea (che esiste tuttora, pur essendo ormai quasi disabitata), accorgendosi una volta arrivati che questa non era la terra promessa.
Fa impressione pensare che questi binari sono costati milioni di morti, spesso solo perché appartenevano ad una classe sociale sulla quale si abbattè l’ira di Stalin. Come i Kulaki, sterminati perché erano possidenti terrieri e quindi considerati un ostacolo alla collettivizzazione delle terre; la maggior parte di loro in realtà possedeva una vacca e un orto!
Intanto il nostro treno, nella fredda notte siberiana (adesso ci sono poco più di 10 gradi anche se siamo a metà agosto), continua a scorrere lento ma costante su quelli che i russi continuano a chiamare “i binari fatti con le ossa”. Un modo sarcastico di rendere un po’ di giustizia a milioni di persone mandate a morire in questa “terra che dorme”.

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